Una vicenda incredibile.Uno scandalo lungo quasi trent’anni e ancora una ferita almeno parzialmente aperta.
Da una parte i finanziamenti pubblici a fondo perduto della legge 488 del 1992 per la solita cattedrale nel deserto nel nostro territorio, difesa allora a spada tratta da tutti o quasi: partiti (di destra e di sinistra con il solito inciucio), sindaci, parlamentari, sindacati e associazioni industriali.
Potrei fare i nomi uno per uno e molti di questi sono ancora sulla piazza.
Non parliamo di bruscolini, ma di ben 54 miliardi di vecchie lire di soldi pubblici e quindi di tutti noi.
Una produzione mai partita o quasi, un’idea progettuale antieconomica, un capannone e l’area sono rimasti in stato di semi abbandono, sotto lo sguardo vigile dei custodi unici occupati pagati attraverso una pioggia di soldi pubblici.
Dall’altra parte negli anni ’90 da solo a combattere, il giovane sottoscritto, tacciato dalla casta come “un rompiscatole”, il solito “fesso giornalista ambientalista”.
Molti mi ricordano erroneamente solo come il rompiballe della Is Arenas, ma la ricostruzione non è esatta.
Tra le mie inchieste giornalistiche, quella che probabilmente ebbe il maggior eco e ripercussioni giudiziarie, un vero e proprio scoop datat0 1994, è stata proprio quella su una fabbrica di carbonfluido finanziata con soldi pubblici nella zona industriale di Oristano, sulla quale scoprii che il progettista fosse un prestanome intervistandolo clamorosamente al telefono grazie ad una mia intuizione.Insomma una dei tanti scandali con protagoniste vere e proprie “ cattedrali nel deserto”, finanziate con i soldi dei cittadini.
Svariate decine di articoli, intervisti, studi, convegni, incontri pubblici, che mi hanno impegnato per non poco tempo.
La mia inchiesta andò in prima pagina con richiamo sulla Nuova Sardegna, partecipai ad uno speciale condotto dal noto giornalista Gigi Moncalvo sul canale regionale Cinquestelle che aveva sede ad Olbia ed ebbi i complimenti dal Pm Caria della Procura di Oristano che si occupò per un breve periodo della vicenda, quando gli consegnai la cassetta con la telefonata intervista registrata al professionista prestanome.
Come sempre fui insultato pubblicamente da politici, Assoindustria e Sindacati reo di aver voluto fare “le analisi del sangue ad un imprenditore”.
Nel 1994 fui il primo e unico a sollevare lo scandalo di un’iniziativa che avrebbe dovuto lavorare nel Cirras niente popò di meno che il carbone trasportato da Polonia e Sudafrica.Ovvero un’idea che nasceva fallimentare.
Il solo a dire che questo progetto era una panzana che avrebbe solo succhiato soldi pubblici ero io.
Ma nonostante le prove evidenti di allora, siamo ancora qua dopo quasi trent’anni di articoli, procedimenti penali e amministrativi a parlare di un’opera fallimentare.
Feci inchieste in felice solitudine, ma nonostante tutto siamo ancora qua a parlarne.
In questa nota ho raccolto gli ultimi link trovati on line, dal più recente, tornando indietro.
Dopo decenni sono recenti e forse ancora aperti (sicuramente lo erano sino a tre anni fa, come vede in qusta nota ) procedimenti giudiziari sul caso, ma una certezza c’è.
Il cwf carbonfluido di Santa Giusta è il simbolo dell’incapacità politica della nostra classe dirigente di gestire e programmare lo sviluppo.
Questo caso è l’emblema-monito del malgoverno del nostro territorio, che ha visto regalare soldi pubblici per iniziative inutili e pericolose, spacciate al contrario all’opinione pubblica, per superficialità o in malafede come sviluppiste e innovative.
Uno scandalo che doveva e poteva essere evitato se solo ci fosse stata una politica seria, onesta e competente.
Link La Nuova Sardegna
26 marzo 2015
SANTA GIUSTA. Sarà discusso di fronte ai giudici del Tar della Sardegna e non dei loro colleghi del Lazio, il ricorso che il patron della Clivati, Giovanni Francesco Clivati ha intentato ai giudici amministrativi per l’annullamento del decreto con il quale il Ministero dello Sviluppo Economico aveva revocato le agevolazioni alla società Cwf che voleva operare a Santa Giusta. Per questa stessa vicenda nell’ottobre del 2011 il Tribunale di Oristano aveva condannato Clivati per il reato di malversazione a tre anni e un mese, per la vicenda della CWf Italia, l’azienda che produceva carbon fluido nello stabilimento della zona industriale. Com’è andata a finire la vicenda imprenditoriale, figlia dei tanti progetti _ questo doveva produrre energia dal carbone fluido _ senza esito della legge 488 del 1992, è ormai fatto risaputo. La produzione non è mai partita e il capannone e l’area sono rimasti in stato di semiabbandono, sotto lo sguardo vigile dei custodi. Secondo la ricostruzione dell’accusa Clivati, aveva ricevuto un finanziamento di 785mila euro a fondo perduto. Era la prima di tre tranche per un totale di due milioni e 357mila euro che dovevano servire all’azienda per dare sviluppo al piano industriale con l’ingrandimento e l’ammodernamento della banchina per l’impianto di trattamento dei reflui della produzione industriale. I lavori non partirono e quei soldi svanirono nel nulla. Le altre due tranche del finanziamento invece non furono mai pagate perché la banca si rifiutò di versarle, visto che i lavori non procedevano. Era il 2005 e di lì a poco sarebbero cominciati gli accertamenti. Nel 2012 Clivati fece ricorso al Tar del Lazio per vedere annullata la revoca del finanziamento, citando il Ministero, la Guardia di Finanza, il cui Nucleo di Polizia Tributaria di Milano fece i primi accertamenti e la banca che doveva erogare i fondi. Secondo il ricorrente, la decisione del ministero aveva violato i principi generali in tema di autotutela amministrativa.
I giudici del Tar del Lazio hanno però deciso che non era quella la sede nella quale andava trattata la causa. Per incompetenza territoriale la causa è stata “girata” al Tar della Sardegna. La pratica è stata automaticamente trasmessa e ne è stata già data comunicazione alle parti in causa.
2013 Giustizia Amministrativa
4 sentenze e 1 ordinanza cautelare 22 maggio 2013 TAR
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il decreto prot. n. 1211 del 1° agosto 2012, del Direttore Generale della “Direzione Generale per l’incentivazione delle attività imprenditoriali” del Ministero dello Sviluppo Economico, nella parte in cui stabilisce che l’amministrazione «provvederà, in occasione delle liquidazioni dei contributi in conto interesse all’istituto finanziatore Banca di Credito Sardo S.p.A., al recupero della somma di € 1.347.085,53, quale contributo in conto interessi indebitamente percepito dall’impresa CWF S.r.l. in liquidazione e concordato preventivo» 2011
2011
Condannato l’imprenditore lombardo Clivati Il finanziamento da 785mila euro per lavori mai eseguiti alla Cwf gli costa tre anni e un mese di Enrico Carta
La Nuova, articolo Enrico Carta
2011: SANTA GIUSTA. IL PROCESSO CONTRO I VERTICI AMMINISTRATIVI DELLA CLIVATI Ex dipendente Cwf accusa: «Smaltimenti fuori legge»
2010: Michela Murgia https://www.facebook.com/notes/michela-murgia/post-it-elettorale-il-teatrino-della-equipolymers/377879848346/
E 16 anni dopo di me a parlare del CWF di Santa Giusta, è arrivata anche la nota scrittrice Michela Murgia,L’ha fatto su facebook in questa nota che ho linkato sopra. La riporto sotto.
Io ho delle perplessità, non solo perché conosco bene la parabola imprenditoriale di Paolo Clivati, ma soprattutto perché non so spiegarmi l’assenza di memoria storica dei politici locali – nello specifico Paolo Maninchedda e Bruno Murgia – che si sono prestati a sostenere politicamente l’accordo. Essendo convinta che sarà la memoria a salvarci, non certo gli imprenditori milanesi, a questo giro scelgo di appendere un post-it proprio su quel Paolo Clivati che oggi viene osannato dai giornali locali come un fuoriclasse della trattativa industriale.
Giovine imprenditore rampanteGiovine imprenditore rampanteE dunque chi è questo Paolo Clivati?
E’ l’unico figlio maschio di quel Giovanni Clivati che negli anni 90 acquistò un terreno a Cirras, nel comune di Santa Giusta, per costruirci uno stabilimento che avrebbe dovuto produrre il cosiddetto carbone liquido, o cwf, un combustibile stimato come adatto a bruciare al posto dei tradizionali olii minerali. Lo stabilimento che Paolo avrebbe presto ereditato sorse con il vantaggio di forti agevolazioni statali, ma prima che entrasse in attività gli accadde un’altra curiosa benedizione: il cwf che avrebbe dovuto esservi prodotto, e di cui i Clivati casualmente detenevano il brevetto esclusivo per tutta l’Europa, con un espediente lessicale fu inserito nell’elenco delle fonti assimilate a quelle rinnovabili per la produzione di energia elettrica, con il risultato che per ogni kw prodotto con quel combustibile lo Stato avrebbe pagato quattro volte tanto rispetto alle produzioni da fossili.
.Come sia potuto accadere che una soluzione chimica con il 95% di carbone passasse per fonte rinnovabile potrebbe forse spiegarlo l’on. Giovanni Marras, allora deputato forzista di Arborea e membro della commissione che si è occupata di quella materia, nonché amico intimo di Giovanni Clivati e suo grande sponsor politico. Ritengo che dovrebbe saperlo, dato che fu lui a proporne l’inserimento, e in più circostanze. Naturalmente questo non ha nessun collegamento con la misteriosa selezione di assunzioni che poi si verificarono nello stabilimento di Cirras, quasi tutte riguardanti cittadini di Arborea. Io al caso ci credo veramente.
Comunque, una volta ottenuta quella straordinaria agevolazione economica, la CWF Italia decise di sfruttarla in prima persona, facendo sorgere accanto allo stabilimento per la produzione del cwf anche una centrale elettrica, che nei piani della famiglia Clivati avrebbe dovuto sia funzionare con il combustibile prodotto in loco, sia fungere da impianto dimostrativo per altre centrali che avessero voluto convertirsi al cwf.
Ma qualcosa deve essere andato storto in questo geniale piano industriale, perché la centrale non entrò mai in funzione, gli impianti che dovevano produrre il cwf per farla funzionare non andarono mai a regime, e la trentina di operai che erano stati assunti dopo apposito corso di formazione finanziato (anche quello) dalla regione persero il posto. A quel punto della loro parabola sarda, i Clivati avevano ricevuto oltre venti milioni di euro di finanziamenti pubblici per aprire una fabbrica che non aveva mai funzionato.
Si aprì una doverosa indagine della Guardia di Finanza, al termine della quale Giovanni Clivati, in qualità di amministratore delegato, fu rimandato a processo per truffa aggravata ai danni dello Stato, processo per quanto ne so ancora in corso. Accanto a quel procedimento la CWF dovette gestire anche le conseguenze dell’impatto ambientale dell’attività di avviamento della centrale, con denunce che andavano dall’ipotesi di scarico chimico a mare all’accusa di discarica abusiva di rifiuti speciali.
Ce n’era abbastanza per dubitare della capacità, se non proprio dell’onestà, di questi imprenditori venuti dal nord, e infatti quando Paolo Clivati, nel frattempo subentrato all’anziano genitore, si fece avanti per acquisire anche la centrale termoelettrica di Ottana in fallimento, il dubbio qualcuno se lo pose per davvero. Il consigliere Dedoni fece infatti una interrogazione all’allora assessore regionale all’industria Rau, chiedendo se c’era da fidarsi. La chiarissima risposta dell’assessore Rau è sintetizzata da questa conclusione:
“In base alle informazioni assunte ed ai fatti riscontrati, siamo indotti ad avere talune perplessità in ordine all’effettiva esperienza imprenditoriale del Gruppo Clivati.”
“Talune perplessità” era il minimo che si potesse avere davanti a tanta creatività industriale, ed era solo il 2005, appena cinque anni fa; ma l’assessore Rau nel frattempo cambiò linea d’azione senza dare spiegazioni, suscitando l’inquietudine dei sindacati, che ancora nel 2007 si chiedevano se era il caso con queste premesse di far sedere i Clivati al tavolo delle delicate trattative regionali con le aziende in crisi dell’area Ottana. Nonostante queste perplessità, solo due anni dopo, cioè oggi, Paolo Clivati viene presentato in modo bipartisan come l’ancora di salvezza della Equipolymers, e i politici locali in assetto elettorale lo sponsorizzano come impreditore affidabile, mettendogli di fatto in mano altri fiumi di denaro pubblico e la corona di mirto del salvatore della patria.
Berlusconi mostra ad Ugo Cappellacci il futuro della Sardegna industrialeBerlusconi mostra ad Ugo Cappellacci il futuro della Sardegna industrialeScajola si dice soddisfatto, Cappellacci anche di più, tanto più che non ha nemmeno dovuto aver a che fare con i sardi che tanto lo infastidiscono. Io invece mi domando, e dovremmo farlo in molti, se davvero l’unica risposta che i politici sardi – e nello specifico quelli del nuorese – sanno dare alla crisi occupazione sia quella di foraggiare con immotivata fiducia soggetti che hanno già i curricula pieni di impianti falliti e fermi. Impianti che, come dice il regista Paolo Carboni, non erano retoriche cattedrali nel deserto, ma castelli di sabbia che il deserto lo hanno creato sfaldandosi.
(fine citazione integrale dalla nota di Michela Murgia del 23 marzo 2010) https://www.facebook.com/notes/michela-murgia/post-it-elettorale-il-teatrino-della-equipolymers/377879848346/
2007:
I n d u s t r i a.
Le vicende giudiziarie del gruppo bergamasco che ha chiuso l’accordo su Ottana con la Regione.
Clivati, l’azienda rampante a processo per una maxitruffa.
Un rappresentante della società è davanti ai giudici per lo scandalo del 2004 sulla centrale di Santa Giusta: 21 milioni di euro scomparsi. Mentre arrivano altri soldi.
Imprenditori in attività da una parte, a Ottana, imprenditori a processo dall’altra, a Cagliari, per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Il primo è Paolo (figlio), il secondo è Giovanni (padre). Clivati da Bergamo, i padroni di Ottana energia, il gruppo proprietario dell’azienda che nei giorni scorsi ha minacciato il licenziamento di 45 dipendenti.
La Regione ha messo una toppa. Per salvare i posti di lavoro nel Nuorese ha deciso di non osteggiare il passaggio dall’olio combustibile a quello vegetale per l’attività della centrale.
E, soprattutto, non ha escluso l’erogazione di finanziamenti se il piano industriale dei Clivati sarà convincente. Soldi freschi, come lo erano quelli per i quali il rappresentante legale della Clivati, Giovanni, è sotto processo: 21 milioni di euro percepiti per mettere in piedi la Cwf di Santa Giusta.
L’INCHIESTA è partita nel 2004: la guardia di finanza di Cagliari aveva seguito il percorso di finanziamenti e fatturazioni.
L’Aerimpianti, un’azienda dell’ex gruppo Ansaldo, aveva emesso negli anni precedenti note di credito per fatture della CWf emessa in precedenza.Ma la Cwf, proprietaria della centrale e beneficiaria dei finanziamentidel ministero per le Attività produttive, non ha comunicato al Cis (l’istituto che ha seguito la pratica) che quelle fatture non erano state pagate, causa il mancato avviamento della centrale. In sostanza, la società avrebbe incassato gli stati di avanzamento senza averne titolo. Questa la ricostruzione al momento delle indagini, che coinvolsero Giovanni Clivati, la moglie e il loro commercialista. La posizione di questi due non rientra nel processo.
Davanti al giudice finisce solo Clivati, un nome conosciuto nel centro Sardegna. «Certo, tristemente conosciuto», dice Giampaolo Lilliu della Fiom- Cgil oristanese, «fui io a presentare degli esposti contro di loro.
Sia per la centrale di Santa Giusta che per corsi di formazione che, diciamo così, non avevano dato i risultati sperati». Lilliu aggiunge di essere stato ancora lui, nell’ultimo incontro con Soru su Ottana, ad aver richiesto che nell’accordo con Clivati rientrasse anche il riavvio la centrale oristanese con il suo
carbon-fluido. «L’ho fatto, certo, il mio dovere di sindacalista è quello di tutelare gli operai», dice Lilliu, ma aggiunge: «Contesto all’assessore all’Industria Rau di aver ancora dato fiducia ai Clivati che, peraltro, hanno acquisito con trattativa privata la centrale di Ottana». Perplessità, sull’affidabilità del gruppo, che devono ancora trovare un fondamento giuridico. Il processo per la truffa è ancora in corso. La prossima udienza è fissata per fine mese.
Il sindacalista:«Era mio dovere tutelare gli operai ma contesto alla Rau di aver dato ancora fiducia a questa famiglia»
Il Sardegna 12 Gennaio 2007